Criticare è sempre facile, è vero. Eppure ogni tanto sembra inevitabile perché le cose così come sono proprio non funzionano. É il caso della scuola e troppo spesso anche dell’università.
Cosicché criticare diventa quasi un dovere, nella speranza che una critica costruttiva, non polemica, possa spronare a cambiare o almeno offrire qualche spunto di riflessione. Se non a chi davvero potrebbe, e dovrebbe, cambiare le cose, almeno ai lettori.
Vediamo allora di individuare i problemi macro dell’istruzione e di proporre qualche soluzione.
Di certo l’utilità di una soluzione dipende prima di tutto da quanto è percorribile e alcune delle proposte di seguito forse non parranno del tutto percorribili, almeno a prima vista e nel giro di poco tempo. Ma c’è anche da dire che l’istruzione non può che essere un investimento di lungo periodo.
Un pilastro su cui investire per assicurare un futuro migliore alle persone che richiede inevitabilmente pazienza, tanta, impegno, moltissimo, e volontà concretamente dimostrata da parte di chi ha in mano le redini di questo mondo.
Si deve andare a scuola per imparare, perché imparare è importante.
La scuola dovrebbe agire come un’azienda e non come campo di rieducazione. Le aziende, oggi più che mai, hanno bisogno di giustificare la propria esistenza e devono farlo prima di tutto agli occhi dei clienti. Un’azienda senza clienti non ha ragione di esistere, è evidente!
Premesso che la scuola non è un azienda per ovvie ragioni è però auspicabile che inizi ad agire come tale in alcuni meccanismi.
L’attenzione e la centralità del cliente.
La scuola ha dei clienti molto particolari e un compito molto più arduo della loro semplice soddisfazione. Una missione, un dovere, un ruolo fondamentale nella vita delle persone, delle famiglie, dei bambini e dei ragazzi, dell’intero Paese: formare.
Bisogna smettere di far percepire l’istruzione come un’obbligo, un peso incombente nella percezione di ragazzi e famiglie. Imparare è importante ma è anche bello. Anzi, è importante perché è bello. Per questo ci vorrebbe un approccio meno rivolto a valutare lo studio e più orientato a valorizzare le persone, gli alunni, sia singolarmente sia insieme tra loro. Un approccio che incentivi l’integrazione, che punti dritto alla soddisfazione del cliente proprio come farebbe un azienda nel progettare il lancio di un nuovo prodotto.
Va ribadito che una scuola non è ne dev’essere un’azienda.
La scuola è fondamentale e il suo ruolo è molto più complesso del ruolo di un’intera industria. Ma vista la crisi evidente che l’istruzione sta attraversando forse guardare alle imprese, almeno ad alcune, e a come queste agiscono, potrebbe essere uno stimolo a migliorare scoprendo soluzioni riproducibili e applicabili anche a contesti apparentemente così diversi.
L’attenzione alla persona, la sua centralità, dovrebbe essere duplice: da una parte gli alunni, dall’altra i docenti. Entrambi sono centrali, i primi sono formati, i secondi responsabili della formazione dei primi. Ma sia per formare sia per essere formati servono condizioni che ad oggi sembrano mancare per produrre risultati efficaci e soddisfacenti.
Ogni cambiamento nel mondo dell’istruzione ha bisogno di una visione che oggi manca oltre i confini della scuola.
Ritrovare almeno in parte questa visione è essenziale per avviare un processo di riforma funzionante. La visione è fondamentale per mettere i docenti nelle condizioni di svolgere efficacemente il loro lavoro e per comprendere come tirare fuori il meglio dai ragazzi. Già, perché il punto è sempre lo stesso: in qualche modo c’è bisogno che chi va a scuola si rinnamori della possibilità di imparare.
Come? Personalizzando i percorsi, sviluppando le conoscenze e le competenze in un’ottica più pragmatica e meno teorica, cercando fin da subito di evidenziare l’importanza e gli impatti che la conoscenza ha sulla realtà che ci circonda, nostra, degli altri, nostra insieme agli altri.
Ci vuole capacità di motivare lo sforzo che imparare richiede.
Ci vuole la capacità di stimolare i ragazzi e ciò sarà possibile solo quando la scuola si sentirà abbastanza importante da poter avanzare delle richieste, pretendere e ottenere risorse, valorizzare i suoi docenti.
É piuttosto sconvolgente pensare che il mondo del lavoro sia così diverso rispetto a cinquant’anni fa mentre l’istruzione, almeno nel nostro paese, sia più o meno la stessa di cent’anni fa.
Cose già sentite, anche inutili da rimarcare se non c’è la volontà e la possibilità di metterle in atto.
Nulla dovrebbe adattarsi ai tempi più rapidamente dell’istruzione per correggere le storture in cui ogni tanto il mondo incappa. La scuola dovrebbe esaminare, decidere cosa e come insegnare in base al momento e per questo essere elastica e più veloce di tutti. Caratteristiche ben distanti dalla realtà a cui ci hanno abituati in cui la scuola è un ambiente di persone a volte poco motivate, che vedono nel loro ruolo più i vantaggi di una posizione comoda, che il grosso carico di responsabilità che esso comporta.
Insomma, formare chi forma è il primo, difficilissimo passo da compiere per poi formare chi dev’essere formato nel modo giusto. Che sia necessaria una riforma, e che le riforme richiedano tempo e risorse è evidente. Basterebbe uno sforzo di immaginazione da parte dei molti interessati –docenti volenterosi, soprattutto i più giovani tanti assunti degli ultimi anni, famiglie, studenti un po’ più grandi – per intuire i risvolti a cascata, positivi, che una svolta in questo senso comporterebbe per l’intero Paese.
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