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Un’idea dello Ziggy Club

Di questi tempi grami, con le serrande dei locali cupamente abbassate e i circoli Arci chiusi a doppia mandata, è facile perdere contatto con la bellezza della condivisione, della vicinanza leggera, dello scambio di chiacchiere e gesti a cui tali luoghi sono per definizione deputati.

Illustrazione Gizzy Club, di Stefania Persano

Uno dei posti di Torino in cui questa bellezza si avverte con più forza è il circolo Arci Ziggy Club su via Madama Cristina, uno spazio il cui aspetto artisticamente stiloso, ispirato a un’estetica glam-rock anni ‘70, non scavalca – anzi incrocia armoniosamente – l’atmosfera informale, conviviale e senza fronzoli tipica dei circoli dopo-lavoro. L’utenza riflette con grazia questa doppia anima, solo apparentemente contraddittoria: uomini e donne di estrazione sociale e anagrafica trasversale, vestiti in stili diversi tra loro ma accomunati dal fiero spregio dei dettami imposti e da stravaganze in vario grado di raffinatezza, conversano, bevono e ballano sciolti con conoscenti ed estranei.

Citazioni dei testi di Ziggy Stardust rivestono le pareti, insieme a poster del Duca Bianco e locandine di vecchi concerti. Al club si accede da un portone di San Salvario, suonando il campanello come per entrare in casa di amici, e da una rampa di scale attorniata da pareti che, con i loro poster e scritte, introducono gentilmente all’atmosfera dell’interno.

Un interno piccolo ma così fitto di sgabelli, giochi, dipinti e accessori scenici da dar l’idea di una luna di Astolfo: gli sgabelli sparpagliati con finta noncuranza precedono il palco, ai lati del quale manichini di boutique abbigliati con eleganza blasé assistono come esterrefatti alle performance dei musicisti; all’angolo di fronte al palco un divano nero che vanta orgogliosamente la sua età accoglie ballerini esausti e coppie impazienti di scambiarsi effusioni; la dance-hall è uno spazio raccolto e riscaldato da luci soffuse, trasudante vitalità ballerina quando in consolle incalzano le sonorità originali della selezione disco dance/post punk/new wave di dj Dott.Volume; code nere di lunghe giacche di pelle svolazzano su mocassini a punta, ginocchia di mezza età improvvisano giravolte sorprendentemente energiche, dita nude o inanellate turbinano e si sfiorano in un prisma mobile di gesti accomunati dal denominatore del contatto.

Il contatto. Salvaguardarne il ricordo, oggi che le circostanze impongono di bandirne la pratica, aiuta a non privare di una cornice umana il quadro angosciante delle nostre vite isolate, ingessate in movimenti cauti e circospetti, permeate di paura del prossimo e dell’avvenire, mutilate di presenza, di vicinanza.


Quest’ultima riflessione suona come un requiem e non per niente il disegno che accompagna questa descrizione è un’elegia a inchiostro nero. Piacerebbe – farebbe soffrire di meno – immaginare ottimisticamente che “andrà tutto bene” e ritroveremo presto la musica dal vivo, i corteggiamenti sulle dance-hall, le porte aperte all’ingresso di locali come lo Ziggy, piccoli e accoglienti, spogli dell’inessenziale e zeppi dell’essenziale, ovvero del bello: arte, giochi, freccette, tavolo da biliardo, bicchieri rigorosamente in vetro, il divano succitato che gli anni hanno reso ben più comodo di divanetti giovani, pretenziosi e duri.

Ma credo sia il caso di scrollarsi di dosso la retorica chiassosa dei discorsi da balconcino, col suo sfornare senza sosta illusioni a basso costo: posti del genere subiscono da mesi sferzate troppo violente, e la loro chiusura a tempo indeterminato è una triste ma realistica prospettiva. Ovviamente noi speriamo con forza che non sarà così, tuttavia, se le più fosche previsioni dovessero avverarsi, ci conforteremo, non con le illusioni sterili della retorica, ma con le disillusioni feconde della poesia. E allora ecco una piccola poesia per lo Ziggy:

In sere miti, col vento, piovose,
siamo approdati in uno spazio strano.

Tra birre, musica, facce gioiose,
oggetti vari, tra cui un bel divano,

abbiam ballato, ascoltato canzoni,
scosso le gambe e battuto le mani,
emozionati da luci e da suoni
che riecheggiavano anche l’indomani.

Sarebbe bello tornare a ballare,
fosse anche solo per una serata.
Ma per adesso dobbiamo aspettare,
così ci impone quest’epoca ingrata.

Però nel cuore balliamo lo stesso,
e ci conforta dal periodo mesto
il pensar che, anche se non adesso,

ritorneremo allo Ziggy Club presto.

di Stefania Persano

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